Il cambiamento climatico: come fronteggiarlo in olivicoltura

I cambiamenti climatici che stanno da anni interessando l’intero pianeta creano allarme anche per l’olivicoltura, essendo l’olivo una delle specie di alberi da frutto più coltivate nel bacino del mediterraneo. L’innalzamento delle temperature, l’incremento delle ondate di siccità e della frequenza di eventi meteorologici estremi hanno un forte impatto sulla produzione olivicola del bacino del mediterraneo sia in termini di quantità che di qualità. In Italia sono particolarmente esposte le aree centro-meridionali che proprio nella campagna olearia 2022/2023 hanno registrato un significativo calo di produzione in buona parte riconducibile alle elevate temperature estive ed autunnali e alla prolungata siccità.

 

L’areale climatico ideale per l’olivo coltivato è caratterizzato da un periodo estivo caldo e soleggiato ed un periodo invernale piovoso e freddo.

La crescente variabilità climatica fra le annate e le stagioni in alcuni areali del mediterraneo sta influenzando significativamente la fenologia di questa coltura.

L’eccessiva piovosità e l’elevata umidità ostacolano l’impollinazione e favoriscono la caduta precoce di fiori e frutti.

Il tendenziale aumento delle temperature minime, in particole d’inverno e nei primi giorni della primavera, determina una fase vegetativa quasi ininterrotta, l’anticipazione della fioritura e della maturazione del frutto e un maggior rischio d’infestazioni della mosca olearia e di altri patogeni.

Nonostante l’olivo sia una specie in grado di sopravvivere in ambienti siccitosi, la carenza idrica per periodi prolungati riduce l’inflorescenza della pianta e limita lo sviluppo dei frutti con conseguente calo della produzione.

Le alte temperature possono inoltre influenzare la composizione chimica di un olio di oliva (riduzione del contenuto di acido oleico e dei polifenoli totali) con conseguente ricaduta negativa sul profilo sensoriale e sulla conservabilità.

Da tempo vengono attuate pratiche agronomiche, quali la difesa dalle infestazioni e il ricorso all’irrigazione artificiale, per combattere gli effetti dei cambiamenti climatici. Considerati i costi parecchio elevati di questi interventi, bisognerà in futuro investire sempre più nel miglioramento del patrimonio genetico intensificando l’utilizzo di cultivar resistenti allo stress idrico e sviluppandone delle nuove.

Occorre comunque ricordare che l’olivo non è solo una coltura da tutelare rispetto ai cambiamenti climatici, ma può diventare essa stessa strumento di difesa per evitare l’accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera. Recenti studi hanno infatti provato la capacità di un oliveto (soprattutto nel caso di colture intensive) di trattenere biomasse e quindi carbonio riducendo in tal modo le emissioni di CO2 nell’atmosfera.