L’italianità è generatrice di valore per tutti i componenti della filiera oliva-olio

L’olio di oliva ha sempre parlato italiano nel mondo grazie al “saper fare” delle aziende olearie “di marca” italiane e alle loro politiche di marketing ed internazionalizzazione. Da qualche tempo però l’acceso dibattito che si è creato intorno all’origine della materia prima impiegata ha procurato seri problemi d’immagine ai più affermati marchi italiani e, per certi aspetti, all’intero settore oleario nazionale.

L’accusa dei media (soprattutto quelli esteri) ai produttori di marchi italiani mass-market è quella di commercializzare blend di oli extravergini mediterranei, facendo leva sull’italianità. Approfondendo la questione si capisce però che la strategia di marketing a supporto di un marchio italiano mass-market non è certo tesa ad ingannare il consumatore circa l’origine del prodotto ma piuttosto a capitalizzare il valore aggiunto di quel “saper fare” tutto italiano nel settore agroalimentare.    

Tanto per cominciare va detto in base alla normativa comunitaria è obbligatorio menzionare in etichetta l’origine delle materie prime impiegate. Nel caso di un blend di oli mediterranei l’origine può essere o la UE (in prevalenza Spagna, Italia, Grecia e Portogallo) o la UE + paesi terzi (in prevalenza Tunisia, Marocco, Turchia) a seconda che le materie prime impiegate nel blend siano esclusivamente prodotte nella UE o anche in paesi terzi.

Anche la Food and Drug Administration (F.D.A.) prevede lo stesso obbligo per l’olio di oliva importato negli Stati Uniti ma, in questo caso, i paesi d’origine vanno indicati dettagliatamente.

In aggiunta va precisato che la tanto vituperata pratica del “blending”, così come il “coupage” nel caso del vino, è un’importante leva di marketing che consente, attraverso la sapiente combinazione di oli extravergini di diverse cultivar e provenienze, di adattare il profilo organolettico delle differenti etichette alle preferenze del consumatore target (con particolare riferimento alla nota del fruttato, ma non solo).

Il principale motivo per cui è impensabile che, per un’etichetta mass-market, si possa impiegare un blend di soli oli italiani risiede nel fatto che la produzione italiana è in grado di soddisfare a malapena un terzo del fabbisogno totale delle aziende “di marca” italiane.

Da sempre queste aziende hanno compensato il deficit di produzione con un’ampia quota d’importazione e così sarà per il futuro salvo che non si acceleri il processo di modernizzazione degli oliveti esistenti e, soprattutto, non si avvii, anche in Italia, un piano d’espansione delle superfici a oliveto realizzando di nuovi impianti moderni ed efficienti.

Questo progetto di grande portata può già contare sul sostegno della UE attraverso i fondi della Politica Agricola Comune (PAC) ma non potrà veramente decollare se non si farà sistema tra tutti i componenti della filiera oliva-olio italiana mettendo al centro l’italianità quale valore comune da difendere.