La Nuova Geografia dell’Olio
Valori medi delle ultime due campagne olearie (in tonnellate)
2017/2018 – 2018/2019
Negli ultimi decenni lo scenario della filiera olivicola-olearia si è andato progressivamente modificando, in conseguenza soprattutto dell’affermarsi dei cosiddetti “impianti superintensivi” che, grazie alle loro efficienze produttive, hanno consentito di far fronte al crescente consumo di olio d’oliva a livello internazionale, garantendo adeguati volumi d’offerta a prezzi competitivi.
L’oliveto a filari continui, con densità compresa tra le 1500 e le 2500 piante per ettaro, è nato in Spagna intorno agli anni ’90.
Questo modello è stato progettato per la meccanizzazione integrale di tutte le pratiche colturali, compresa la potatura e la raccolta in continuo con macchine scavallatrici.
Oltre alla bassa incidenza del costo della mano d’opera, i fattori che concorrono alla sostenibilità di questo modello sono: la precoce entrata in produzione dell’impianto, l’elevata produzione unitaria, la riduzione dell’alternanza produttiva.
Diffusosi soprattutto in Spagna, l’allevamento superintensivo è stato replicato in alcuni paesi del Maghreb (soprattutto Tunisia e Marocco) oltre che in paesi privi di una tradizione olivicola dell’emisfero sud del pianeta, quali Cile, Argentina, Australia e Sud Africa, nei quali le condizioni climatiche sono simili a quelle del bacino del mediterraneo.
Poco successo ha avuto invece in Italia per una serie di fattori strutturali, ma soprattutto per il fatto che l’allevamento superintensivo è ad oggi applicabile ad un numero limitato di varietà della pianta (cultivar), delle quali solo le spagnole Arbequina e Arbosana e la greca Koroneiki hanno avuto una piena validazione. Considerato che il valore aggiunto dell’olivicoltura italiana risiede nel ricco patrimonio varietale esistente (più di 350 cultivar localizzate in specifici ambiti territoriali), sarebbe poco conveniente diffondere, su ampia scala, la coltivazione super-intensiva di cultivar non autoctone.
I grafici sottostanti evidenziano, nell’arco degli ultimi 17 anni, una crescita complessiva della produzione mondiale del 63% (circa 1200 tons). Per il 50% circa la crescita è andata a vantaggio della Spagna (soprattutto grazie alla diffusione degli impianti super-intensivi), l’Italia ha dimezzato la quota perdendo il 27% dei volumi, la Grecia ha ridotto la quota mantenendo i volumi. Al quarto posto si è imposta la Turchia triplicando i volumi, significativa anche la crescita percentuale dei nuovi paesi produttori dell’emisfero sud del pianeta: Argentina, Australia e Cile.